Gianni Ferrario – Energizzatore di Eventi
Facilitatore di climi aziendali e spirito di unità con i suoi coinvolgenti WorkShow di grande successo!
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Happiness Trainer
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Spesso l’umorismo e la comicità hanno contenuti poveri. Il divertissement, lo scherzo, il gioco possono nascere e morire in un breve spazio temporale, senza apparentemente lasciare traccia: anche per questo forse, nella storia tra i generi artistici, esso è relegato tra quelli inferiori, associato com’è alla fisicità e di conseguenza al “basso” corporeo (a tale proposito sono famosi gli studi sulla comicità popolare medioevale del grande Francois Rabelais, padre di figure grottesche e iperboliche come Gargantua e Pantagruel), lontano dalle sublimi vette dello spirito; anche se …guarda caso …. se uno sa far ridere si dice che è spiritoso …. ; stessa radice della parola spirituale.
Le tracce dell’umorismo e della comicità invece restano in profondità . E questo ormai è stato dimostrato da tanti studi e ricerche, proprio perché il riso è un bisogno imprescindibile e primario, avendo l’essere umano una innata inclinazione.
Questo vale a maggior ragione se l’umorismo e la comicità sanno trasmettere messaggi profondi. Pensiamo all’umorismo ebraico o a certe storielle sapienziali di varie tradizioni.
Dal mio punto di vista, sto portando avanti da quasi vent’anni un mio personale repertorio fatto di “giullarate” in grammelot, un intruglio di dialetti e parole inventate, monologhi e canzoni buffe, scoppi d’artificio di risate contagiose di gruppo (uno yoga della risata opportunamente spettacolarizzato), un genere di approccio che ha questo tipo di taglio: “dissacrare” per “sacralizzare”; “spiazzare” e “sorprendere” per aprire nuovi canali di comunicazione che fungano da “facilitatori” della crescita personale e spirituale del singolo, a beneficio di conseguenza della collettività …. che forse è il vero scopo di questa manciata di anni che ci troviamo a trascorrere come ospiti su questo splendido ma anche martoriato pianeta.
L’homo ridens è quindi presupposto dell’homo sapiens perché nel fatto in sé del ridere vi è contenuto un alto grado di coscienza del Sé, una forma olistica (facente parte di un tutto unito) e onnicomprensiva di percezione della realtà.
Purtroppo questo homo ridens, racchiuso nei nostri cromosomi, rischia una lenta estinzione. Se consideriamo il ridere da un punto di vista storico, scopriamo come nei secoli si sia andato smarrendo il “riso originario”, quello prorompente, trascinante, un po’ folle, surreale, eversivo che risale alla notte dei tempi, quello che ha accompagnato la creazione dell’universo, di cui si parla nel libro dei Proverbi, nel canto della saggezza, dove lei stessa dice di essere stata a fianco con Dio durante la creazione: “E io fui le allegrie giorno per giorno, ridendo a lui davanti in ogni punto. Ridendo nel mondo sulla terra.” (Prv. 8, 30-31).
“Appena Dio sorrise nacquero sette dèi che governarono il mondo: appena scoppiò a ridere nacque la luce … Scoppiò a ridere una seconda volta e apparve l’acqua… Al settimo giorno che rideva apparve l’anima…” (Da un antico papiro alchemico in ambito cristiano del II° secolo d.C.)
“La fabbrica fondamentale del creato si è accompagnata con una saggezza sorridente. L’intristito, lo scienziato che non sa ridere, non può scoprire nè immaginare il mondo”. (Erri De Luca, Nocciolo d’oliva).
Ecco la storia di tre monaci-giullari-zen dell’antica Cina. I loro nomi non vengono ricordati, perché non li rivelarono mai a nessuno. Per cui in Cina sono conosciuti semplicemente come i tre monaci che ridono.
Non facevano altro che ridere: entravano in un villaggio, si mettevano in mezzo alla piazza, e iniziavano a ridere. Pian piano altre persone venivano coinvolte da quella risata, finché si formava una piccola folla, e il semplice guardare quelle persone faceva scoppiare a ridere tutti i presenti. Alla fine tutti gli abitanti venivano coinvolti.
A quel punto i tre monaci si spostavano in un altro villaggio.
La risata era la loro unica predica, il solo messaggio. Non insegnavano nulla, si limitavano a creare quella situazione.
Erano amati e rispettati in tutta la Cina: nessuno aveva mai fatto sermoni simili. Essi comunicavano che la vita dovrebbe essere solo e unicamente una risata. E non ridevano di qualcosa in particolare. Si limitavano a ridere, come se avessero scoperto lo scherzo cosmico.
Quei monaci diffusero gioia infinita in tutta la Cina, senza usare una sola parola. Con il tempo invecchiarono. E in un villaggio uno di loro morì.
Prima di morire aveva detto ai suoi amici: “Ho riso tanto nella mia vita, che nessuna impurità si è mai accumulata vicino a me. Non ho raccolto polvere: la risata è sempre giovane e fresca. Per cui, non mi lavate e non cambiatemi le vesti”.
Per rispetto, non gli cambiarono l’abito. E quando il corpo fu messo sulla pira, all’improvviso si accorsero che nei vestiti aveva nascosto dei fuochi artificiali! Pum, pum, pam! L’intero villaggio si mise a ridere, e quei due monaci dissero: “Furfante! Ti sei fatta l’ultima risata!”
La risata, lo humor, l’autoironia, la capacità di cogliere il lato comico delle cose: ecco l’arte più preziosa da coltivare. Non per sfuggire ai problemi, non per nascondere lo sporco sotto il tappeto, ma anzi per tirarlo fuori.
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